I Martedì Critici: Antoni Abad

30 MAGGIO 2017, ORE 19.30. TEMPIETTO DI SAN PIETRO IN MONTORIO

A cura di Alberto Dambruoso e Valentino Catricalà

Martedì 30 maggio avrà luogo il sesto appuntamento della stagione primaverile dei «I Martedì Critici», gli incontri con i protagonisti della scena contemporanea organizzati dall’«Associazione Culturale I Martedì Critici», giunti all’ottavo anno di attività.

La programmazione prevede la partecipazione di numerose figure di primo piano del mondo dell’arte contemporanea, attive in Italia e all’estero, in una serie di appuntamenti che si svolgeranno in diverse sedi. Ospite del sesto appuntamento stagionale de «I Martedì Critici», realizzato in collaborazione con l’Accademia di Spagna, sarà Antoni Abad (Lleida, 1956).

 ANTONI ABAD 

Antoni Abad esordisce verso la fine degli anni Ottanta realizzando sculture dalle forme fluide, mobili e metamorfiche, in rapporto con lo spazio a esse circostante, e spesso accompagnate da fotografie o da immagini in sequenza per rendere visibili le trasformazioni della materia. A partire dalla metà degli anni Novanta, Abad si concentra sul mezzo del video e, dopo una residenza presso il Banff Centre for the Arts ad Alberta, in Canada, presenta nel 1995 al MACBA Últimos deseos. Il lavoro è costituito da una proiezione sul soffitto dello spazio espositivo che mostra la sequenza di immagini di un funambolo il quale, visto dal basso, compie sulla corda tesa un passo dopo l’altro, incede incerto, e torna indietro, alla costante ricerca di equilibrio. Últimos deseos è stato in seguito esposto alla Biennale di Venezia curata da Harald Szeemann nel 1999.

Il 1996 segna l’inizio per Abad dell’uso di internet, con la versione online della videoinstallazione Sísifo, sviluppata per la piattaforma “MACBA online”. Da allora il suo lavoro si dirige principalmente verso la sperimentazione dei media digitali. Il progetto Z, la cui prima versione risale al 1999, anticipa il funzionamento dei social network: scaricando un software gratuito, visualizzato sullo schermo computer come una mosca, gli utenti possono interagire tra loro in maniera collettiva e simultanea. Nel 2003 il progetto Z ha ricevuto il premio Ciutat de Barcelona nella categoria Multimedia.

Nel 2004 Abad fonda megafone.net, un progetto che esplora le possibilità sociali di comunicazione insite nell’uso del telefono cellulare, uno strumento in grado di dare voce alle comunità emarginate dalla società. La proposta è rivolta a gruppi sociali diversi – immigrati clandestini, comunità sfollate, rifugiati politici, persone con mobilità limitata, prostitute, tra gli altri – che sono invitati a creare col telefono cellulare le proprie registrazioni sonore e video, e le fotografie, che sono pubblicate istantaneamente sul web. Durante i primi dieci anni di attività, Megafone.net ha esplorato diversi contesti urbani in tutto il mondo, in città tra cui Lleida, Ginevra, San Paolo, Città del Messico, Tindouf (Algeria), Montréal e Manizales (Colombia). Megafone.net, che come un “megafono” amplifica la testimonianza di queste comunità attraverso le loro cronache audio-visuali, è diventato un vero e proprio osservatorio di minoranze spesso ignorate, stereotipate o rappresentate superficialmente dai mass-media. Il progetto ha ricevuto nel 2006 il Premio Nazionale di Arti Visive della Catalogna e il Golden Nica Digital Communities del Prix Ars Electronica di Linz, in Austria. I dieci anni dell’attività di Megafone.net sono stati presentati in un’esposizione al MACBA nel 2014 attraverso un’installazione audiovisiva interattiva progettata appositamente dall’artista per gli spazi museali. Dal 2015 Abad ha sviluppato il progetto di comunità interattiva in Internet blind.wiki: http://blind.wiki. Attraverso l’uso di smartphone, un gruppo di persone non vedenti e ipovedenti è stato invitato a condividere le registrazioni audio geolocalizzate delle proprie esperienze quotidiane in città. Il progetto ha l’obiettivo di creare una nuova mappatura cittadina, che permette di vivere in contesto urbano attraverso le percezioni delle persone non vedenti. Blind.wiki ha coinvolto diverse città, tra cui Barcellona, Roma, Sydney, Berlino e Breslavia, per approdare quest’anno alla Biennale di Venezia, dove il progetto è stato presentato al Padiglione Catalano, col titolo La Venezia che non si vede.

Antoni Abad ha conseguito la laurea in Storia dell’Arte presso l’Università di Barcellona e l’European Media Master presso l’Università Pompeu Fabra a Barcellona. Ha partecipato alle biennali di Venezia, Lima, Mercosul Porto Alegre e Siviglia. I suoi progetti sono stati presentati in diverse istituzioni, tra cui ricordiamo: la Fundació Juan Mirò, Museu d’Art Contemporani e Centre d’Art Santa Mònica a Barcellona; il Centro de Arte Reina Sofía, La Casa Encendida e Matadero a Madrid; New Museum e P.S.1 a New York; Hamburger Banhof a Berlino e ZKM di Karlsruhe in Germania; Musac a León; Centre d’Art Contemporain a Ginevra; Museo de Arte Moderno di Buenos Aires; Laboratorio de Arte Alameda y Centro Cultural de España in Messico, e Centro Cultural São Paulo e Pinacoteca do Estado de São Paulo in Brasile.

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I Martedì Critici: Maria Morganti

23 MAGGIO 2017, ORE 19.30. TEMPIETTO DI SAN PIETRO IN MONTORIO

A cura di Alberto Dambruoso e Helga Marsala

Martedì 23 maggio avrà luogo il quinto appuntamento della stagione primaverile dei «I Martedì Critici», gli incontri con i protagonisti della scena contemporanea organizzati dall’«Associazione Culturale I Martedì Critici», giunti all’ottavo anno di attività. Ospite del questo appuntamento stagionale de «I Martedì Critici», realizzato in collaborazione con l’Accademia di Spagna, sarà Maria Morganti (Milano, 1965).

MARIA MORGANTI

Il colore è al centro della pratica e della riflessione di Maria Morganti, un colore che non si esaurisce nell’esperienza visiva, nel momento della percezione ottica, poiché costituisce la vera e propria materia con cui l’esistenza è plasmata. Il colore nelle opere di Morganti dà corpo a un mondo invisibile, rende manifesta la materia interiore. L’artista stessa si è definita una “travasatrice di colore”: “mi sento nella posizione di chi il colore lo fa o meglio di chi è il tramite perché il colore si attui, si concretizzi, diventi materia tangibile. Non che io mi senta una creatrice, un’inventrice, ma piuttosto solamente una travasatrice, un intermediario che collega un dentro con un fuori”. Sulle tele della serie Sedimentazione, Morganti ogni giorno stende uno strato di colore diverso, lasciando sul margine superiore un bordo sottile che mostra la successione delle stesure, rendendo così manifesto il processo insito dell’opera e introducendo un altro dei temi fondamentali del suo lavoro: il tempo. Il colore è infatti anche uno strumento di misurazione temporale, che risponde all’esigenza di lasciare una traccia della propria esistenza. Da questa riflessione nasce nel 2004 la serie dei Diari, tavole di legno lunghe un metro, su cui sono stati applicati strati di pittura che documentano i colori usati in studio dall’artista in un periodo dai due ai cinque mesi, come se fosse la linea cronologica di un’esperienza intima. Ma non è soltanto quando viene applicato sulla tela, carta o tavola, che il colore registra e racconta il vissuto: a fare da contrappunto a questi lavori, ci sono le opere della serie Residui, in cui i materiali residuali della pittura che si accumulano nello studio o sugli strumenti di lavoro diventano protagonisti. Il gruppo di opere intitolato Traccia è costituito da brandelli di carta assorbente con cui Morganti si è pulita le mani dal 1999 al 2016, dopo aver lavorato con i pastelli a olio alle Carte-Diario; Melma è un lavoro in progress costituito da un cubo di vetro che contiene una pittura grigiastra, la melma formatasi nel tempo sul fondo dello sgocciolapennelli dell’artista. Entrambi i progetti sono molto evocativi del passaggio del tempo che si deposita e stratifica sugli oggetti quotidiani, anche i più dimessi, e che l’artista si limita a indicare, a porre in evidenza. Come recita il titolo di una sua recente monografia: Il colore succede, non si provoca (2016). Il 10 maggio 2017, presso la Fondazione Querini Stampalia, presenta Svolgimento di un quadro, installazione permanente realizzata per la Caffetteria della Fondazione Querini Stampalia, a cura di Chiara Bertola.

Dal 1992 al 2012 ha coordinato gli Incontri del mercoledì, cominciati nel suo studio e proseguiti alla Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia: incontri tra artisti, dove un artista mostra, parla e riflette sul proprio lavoro insieme ad altri colleghi.

Dopo essersi diplomata presso il Liceo Artistico Statale Hajech di Milano nel 1985, Maria Morganti completa la sua formazione artistica a New York, dove frequenta i corsi alla New York Studio School, e successivamente alla New York University e all’Accademia di Belle Arti di Brera. Nel 1992 si trasferisce a Venezia, dove tuttora vive e lavora.

Tra le sue mostre personali ricordiamo: Maria Morganti, Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia 2006; Leporelli in White Screen, Via Farini, Milano 2007; Diario cromatico, Fondazione Querini Stampalia, Venezia 2008; Indugi con Bruna Esposito, Galleria Caterina Tognon, Venezia 2009; L’Unità di misura è il colore, Museo di Castelvecchio, Verona, 2010; Un diario tira l’altro, Galleria Ottozoo, Milano 2010; Procedere, trasformandosi, rimanendo, Galleria Caterina Tognon, Venezia, 2012; Giardini squisiti (con Massimo Kaufmann), Casa Testori, Novate Milanese, 2014; Pronuncia i tuoi colori, Galleria Ottozoo, Milano, 2015; Svolgimento di un quadro, Fondazione Querini Stampalia, Venezia, 2017. Tra le mostre collettive ricordiamo: la XV Quadriennale, Palazzo delle Esposizioni, Roma, 2008; Pittura aniconica, Casa del Mantegna, Mantova, 2008; Poetiche nomadi, Museo laboratorio ex manifattura tabacchi, Città Sant’Angelo, 2010; Sentimiento nuevo, MAMbo, Bologna, 2012; Visioni. La fortezza plurale dell’arte, Fortezza borbonica, Civitella del Tronto (Teramo), 2012; Autoritratti. Iscrizioni del femminile nell’arte contemporanea italiana, MAMbo, Bologna, 2013; Edra. Tutta l’Italia è silenziosa, Real Accademia di Spagna, Roma, 2015; Alchimie, Fondazione Bevilacqua La Masa, 2016; La pelle, Officina, Bruxelles, 2016; Boundary Issues, Unosunove, Roma, 2017; L’emozione dei colori nell’arte, GAM e Castello di Rivoli, Torino, 2017.

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I Martedì Critici: Italo Tomassoni

9 MAGGIO 2017, ORE 19.30. TEMPIETTO DI SAN PIETRO IN MONTORIO

A cura di Alberto Dambruoso e Guglielmo Gigliotti

 

Ospite del terzo appuntamento stagionale de «I Martedì Critici», realizzato in collaborazione con l’Accademia di Spagna, sarà Italo Tomassoni (Ancona, 1938). Laureatosi in Giurisprudenza presso l’Università di Perugia nel 1962, Italo Tomassoni ha intrapreso, parallelamente a quella di avvocato, una brillante carriera di critico d’arte che in poco tempo lo ha portato a confrontarsi con numerosi artisti di spicco nel panorama italiano e internazionale, da Alberto Burri a Gino De Dominicis a Joseph Beuys, per citarne alcuni.

Nel 1963 pubblica il suo primo saggio di soggetto artistico, intitolato Per una ipotesi Barocca, incentrato sull’analisi del rapporto tra l’arte barocca e l’arte contemporanea. L’indagine sulla storia, sulla classicità nel contemporaneo, sarà ripresa anni dopo e sfocerà nella definizione di Ipermanierismo, termine da lui coniato nel 1983 e oggetto di un omonimo saggio pubblicato nel 1985. L’ipermanierismo indica la tendenza di ritorno alla pittura, a un’elegante figurazione che, negando le correnti dell’avanguardia degli anni Settanta, si rivolge alla storia dell’arte per “riproporsi come il luogo del valore”, trovando nel tardo-manierismo e tardo-barocco un modello di rarefazione intellettuale e di “inganno”, teso alla ricerca di una dimensione originaria, di una “rivelazione”. Arte come storia dell’arte è il titolo della sezione da lui curata alla XI Quadriennale d’Arte di Roma del 1986, dove sono stati presentati i lavori di Alberto Abate, Stefano Di Stasio e Paola Gandolfi.

Membro dell’AICA fin dal 1964, Tomassoni ha collaborato a diverse testate giornalistiche, tra cui “La Fiera Letteraria”, “Avanti!”, “Vogue”, “Momento Sera”, “Flash Art”, e “Segno”. Negli anni Settanta ha lavorato con Alberto Burri alla creazione della Fondazione Burri a Città di Castello, di cui dal 1992 è consigliere oltre che membro del Comitato scientifico. A Burri Tomassoni ha dedicato molti studi e ha presentato i suoi lavori in diverse occasioni, a partire dall’incontro-mostra con Joseph Beuys a Perugia nel 1980, per arrivare alla monografica presentata al Pecci di Prato nel 1996, fino alla più recente esposizione Burri. Gli artisti e la materia, curata insieme a Maurizio Calvesi presso le Scuderie del Quirinale a Roma nel 2005.

Nel 1999 Tomassoni è curatore dell’esposizione retrospettiva dedicata a Gino De Dominicis alla 48a Biennale di Venezia, insieme a Harald Szeemann, e nello stesso anno fonda l’Archivio Gino De Dominicis, di cui ha inoltre curato la presentazione dell’opera Calamita Cosmica in diverse sedi (Ancona, Mole Vanvitelliana, 2005; Milano, Palazzo Reale-Piazza del Duomo, 2007; Parigi, Château de Versailles, 2007, Bruxelles, MAC’s Grand Hornu, 2008 e Foligno, Chiesa della Santissima Trinità in Annunziata, 2011) e il catalogo ragionato (Skira, Milano, 2011).

Alla carriera di critico e avvocato, si aggiunge quella di accademico: nel 1966 Tomassoni ha fondato con Giulio Carlo Argan il “corso Superiore di Disegno Industriale”, dove ha insegnato fino al 1969. Ha inoltre insegnato Storia dell’Arte all’Accademia di Belle Arti di Perugia (1999-2002), e “Il Diritto d’Aurore nelle opere d’arte contemporanea presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università La Sapienza di Roma (2002-2008). Tomassoni è inoltre fondatore, nel 2001 insieme a Marcello Fagiolo, del Centro Studi sul Barocco sotto il patrocinio dell’Accademia dei Lincei, del Museo “Beuys” a Palazzo della Penna a Perugia, nel 2002, e del CIAC – Centro Italiano Arte Contemporanea di Foligno, di cui è direttore artistico dal 2009.

Tra le principali mostre ed eventi curati da Italo Tomassoni, ricordiamo: Beuys/Burri, Rocca Paolina, Perugia (1980); Anno Uno (con Michelangelo Pistoletto), Teatro Quirino, Roma (1980); Incontri Arte ’80 (con Lucio Amelio e Alberto Zanmatti), Spoleto (1980); Cy Twombly, elogio della mano sinistra, Festival dei Due Mondi, Spoleto (1980); Un anno da Strindberg (con Francesco Carlo Crispolti), Roma (1981); Il tempo dell’Immagine (con Maurizio Calvesi), Spello, Foligno (1983); Paradis e Ritorno (con Philippe Sollers), Teatro Sala Umberto, Roma (1983); Anacronismo, Ipermanierismo (con Maurizio Calvesi), Anagni (1984); Igor Mitoraj. Un Teatro Anatomico del classico, Macerata (1990); Alberto Burri, Museo Pecci, Prato (1996); Alberto Burri – Omaggio nell’ambito del premio Marche, Ancona (1996); La profondità dello sguardo, Flash Art Museum, Trevi (1996); Giuseppe Piermarini. I disegni di Foligno (con Paolo Portoghesi e altri), Palazzo Trinci, Foligno (1998); Burri. Gli artisti e la materia, Scuderie del Quirinale, Roma (2005); Burri. La sezione aurea dei Cellotex, Fondazione Matalon, Milano (2006); Chiara Dynys. In Alto (con Maurizio Calvesi), Museo Bilotti, Roma (2008); Ivan Theimer. Forme nella città, Macerata (2009); Anselm Kiefer, con Maurizio Calvesi e Bruno Corà, Ex Seccatoi Tabacco Collezione Burri, Città di Castello (2013). Tra le mostre presentate al CIAC – Centro Italiano Arte Contemporanea di Foligno, di cui Tomassoni è direttore artistico dal 2009, ricordiamo: Spazio, Tempo, Immagine (2009); Calamitati da Gino, con Giacinto Di Pietrantonio (2012); Vincenzo Agnetti, con Bruno Corà, (2012); Julian Schnabel e Carlo Maria Mariani (2013).

Tra le principali pubblicazioni: Per una ipotesi Barocca (Ed. dell’Ateneo, Roma, 1963); Tàpies, con G.C. Argan, (Ed. Cappelli, Bologna, 1967); Pollock (Sansoni De Agostini, Firenze, 1968; Mondrian (Sadea Sansoni, Firenze, 1969; Arte in Italia dopo il 1945 (Cappelli, Bologna, 1970); Lo spontaneo e il programmato, con prefazione di G.C. Argan, (Laboratorio delle Arti, Milano, 1970); O Grande (Bulzoni Editore, Roma, 1977); Incontro con Beuys (Il Quadrante, Torino, 1984); Ipermanierismo, con prefazione di G.C. Argan, (Politi Editore, Milano, 1985); Difesa della Natura. Joseph Beuys (Charta, Milano, 1996); Beuys a Perugia (Silvana Ed. d’Arte, Milano, 2003); Burri: gli artisti e la materia, con Maurizio Calvesi, (Scuderie del Quirinale, Roma, 2005); Anni ’70. Arte Italiana tra cronaca e mito (Laterza, Bari, 2007); Lo Spazio dell’Immagine e il suo Tempo / Il Tempo dell’immagine e il nostro tempo (Skira, Milano, 2009); Chiara Dynys. Save me (Skira, Milano, 2010); Giuseppe Uncini: i primi e gli ultimi (Silvana ed. Cinisello Balsamo, 2011); Gino De Dominicis. Catalogo ragionato (Skira, Milano, 2011).

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I Martedì Critici: Jordi Colomer

16 MAGGIO 2017, ORE 19.30. TEMPIETTO DI SAN PIETRO IN MONTORIO

A cura di Alberto Dambruoso e Francesco Careri

 

Quarto appuntamento della stagione primaverile di «I Martedì Critici», gli incontri con i protagonisti della scena contemporanea organizzati dall’«Associazione Culturale I Martedì Critici», giunti all’ottavo anno di attività. Ospite del quarto appuntamento stagionale sarà Jordi Colomer (Barcellona, 1962).

La formazione eterogenea di Jordi Colomer, come architetto, scenografo, artista e storico dell’arte, si riflette nella varietà dei media utilizzati nel suo lavoro in cui uno spiccato senso plastico-scultoreo è declinato in fotografie, video e installazioni, che spesso mostrano il processo della loro stessa creazione. Al centro del lavoro di Colomer vi è un’indagine sullo spazio: spazio fisico e reale, performativo e della rappresentazione si sovrappongono nella messa in scena dell’opera, producendo un’esperienza definita dall’autore di “teatro espanso”. Nel 1993, l’esposizione Alta Comèdia a Tarragona segna l’avvio della fusione del linguaggio scultoreo con elementi di allestimento teatrale e riferimenti architettonici, che caratterizzerà gran parte della sua produzione. A partire da quegli anni, dopo il significativo incontro col cinema tedesco d’avanguardia degli anni Trenta, il video diventa il mezzo privilegiato di Colomer per raccontare l’incontro delle diverse discipline. Questo incontro non si esaurisce nel contenuto del video stesso, ma si completa nel momento della proiezione, che avviene all’interno di spazi in cui sono allestite vere e proprie scenografie, sculture abitabili. Simo, presentato al MACBA-Museo di Arte Contemporanea di Barcellona nel 1997, è il primo lavoro che esprime questa svolta. A partire dal 2001, l’indagine spaziale condotta da Colomer si è estesa allo spazio urbano, portando avanti un’esplorazione dei diversi scenari della vita sociale comunitaria. Da Anarchitekton (2002-2004) è un progetto di viaggio, di attraversamento urbano memore della deriva situazionista e delle città utopiche. Il lavoro coinvolge quattro città: Barcellona, ​​Bucarest, Brasilia, Osaka, le cui strade sono attraversate da personaggi che trasportano modelli in cartone di edifici reali. I giochi di prospettive e i cambiamenti di scala creano ironiche sostituzioni e narrazioni che avanzano, con ironia e sarcasmo, una critica alla metropoli contemporanea e alla difficile sopravvivenza di un’esperienza poetica. Oltre al contesto urbano, l’esplorazione di Colomer prende in esame anche il suo opposto: il deserto, nei lavori Arabian Stars (2005) filmato in Yemen e En la Pampa (2008) nel deserto di Atacama in Cile. Nelle opere più recenti, la riflessione si concentra sul rapporto tra utopia e distopia. Prohibido cantar / No Singing (2012, che ha come sottotitolo: Opera didattica sulla fondazione di una città paradisiaca) ha come soggetto l’ascesa e la caduta di Eurofarlete, un fittizio paradiso urbano, che evoca da una parte i progetti falliti delle città-casinò in Spagna (come Gran Scala o Eurovegas), dall’altra la città priva di regole di Mahagonny immaginata da Bertoltd Brecht. ¡Únete! Join Us! è il titolo dell’ultimo progetto che Colomer presenta al Padiglione spagnolo in occasione della 57a Biennale di Venezia, che riflette sul nomadismo, sul movimento come chiave per un ripensamento radicale della società. Read more

I Martedì Critici: Antoni Muntadas

2 MAGGIO 2017, ORE 19.30. TEMPIETTO DI SAN PIETRO IN MONTORIO

A cura di Alberto Dambruoso e Anna Cestelli

 

Secondo appuntamento della stagione primaverile dei «I Martedì Critici», gli incontri con i protagonisti della scena contemporanea organizzati dall’ «Associazione Culturale I Martedì Critici», giunti all’ottavo anno di attività. La programmazione prevede la partecipazione di numerose figure di primo piano del mondo dell’arte contemporanea, attive in Italia e all’estero, in una serie di appuntamenti che si svolgeranno in diverse sedi, alternandosi tra il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale – La Farnesina, il Tempietto del Bramante sul Gianicolo, sede dell’Accademia di Spagna, e l’Accademia di Belle Arti di Roma, oltre che all’Istituto Italiano di Cultura Il Cairo.

Ospite del secondo appuntamento stagionale de «I Martedì Critici», realizzato in collaborazione con l’Accademia di Spagna, sarà Antoni Muntadas (Barcellona, 1942).

Entre/Between, la grande mostra che il Reina Sofia di Madrid dedicò nel 2011 ad Antoni Muntadas ripercorrendone gli oltre quarant’anni di carriera, non era strutturata secondo un ordine cronologico delle opere, né basata sulla specificità dei media utilizzati. Articolata in nove nuclei tematici, o meglio, nove costellazioni, l’esposizione rivelava in maniera immediata la natura della pratica artistica di Muntadas, basata su una costante, approfondita ricerca protratta negli anni, accompagnata parallelamente dalla formazione di uno spirito critico, sempre presente nella realizzazione dei suoi progetti. Le nove costellazioni in cui la mostra era articolata – microspazi, paesaggio dei media, sfere di potere, costruzione della paura, luoghi dello spettacolo, spazi pubblici, archivio, traduzione, sistemi dell’arte – tracciano l’orizzonte tematico verso cui si orienta l’opera dell’artista, da sempre impegnato nello svelamento dei meccanismi di potere che regolano alcuni contesti. La presentazione dei lavori avviene attraverso l’impiego di media diversi, alcuni provenienti dal vocabolario concettuale, come l’archivio, l’inchiesta, la documentazione, e i libri, integrati con altri, come serie fotografica, il video, l’installazione, ma anche il web: ogni elemento di questa complessa struttura concorre nel presentare i risultati delle ricerche dell’artista condotte sul campo. Si tratta di dispositivi relazionali, organizzati secondo un certo montaggio, che forniscono al pubblico gli strumenti e il contesto per poter riflettere in prima persona sugli argomenti esaminati, sul potere, le istituzioni che lo rappresentano e le contraffazioni su cui spesso si basa la loro autorità.

Tra i lavori più celebri di Muntadas vi è The File Room (1994-2011), consistente in un archivio, ora consultabile online, che raccoglie una vasta documentazione su casi storici e più recenti di censura, mentre in Between the Frames (1982-1993), l’obiettivo della sua indagine critica è puntato dritto verso il sistema dell’arte, il ruolo dei musei, delle gallerie, dei collezionisti, svelando il sostrato economico che lo governa, attraverso centocinquanta interviste ai suoi diversi attori, tra cui figurano Harald Szeemann e Pierre Restany. Muntadas è un precursore sia nel display, nella presentazione dell’opera, che ha incluso precocemente l’impiego di internet e la conversazione tra media diversi attraverso un originale “montaggio” che ha l’obiettivo di comporre nella sua totalità il progetto, sia nelle tematiche affrontate, ancora attuali, come le problematiche legate alla conoscenza trasmessa dai mass media, o la paura come esercizio di potere e sistema di controllo. Al 2005 data il progetto On Translation: Fear/Miedo, un’indagine che pone a confronto la paura sul piano personale, politico e mediatico, condotta in un territorio di confine tra Stati Uniti e Messico, tra San Diego e Tijuana. Il progetto è stato portato avanti nel 2007 tra il Nordafrica e la Spagna, col titolo On Translation: Miedo/Jauf, (“Jauf” è la parola araba per paura). In entrambi i casi, si tratta di territori di confine tuttora teatro di flussi migratori e incomprensioni, ancora un argomento di scottante attualità, come lo è Alphaville e Outros (2011), un’indagine sulla paura che genera barriere, che in questo caso ha come oggetto della ricerca le gated communities in Brasile.

Fin dalla sua partecipazione negli anni Settanta al Grup de Treball, collettivo di artisti e intellettuali di matrice concettuale, politicamente attivo contro il regime dittatoriale franchista, Muntadas è un artista impegnato che, lontano da ogni slogan o propaganda, ha messo al centro della sua ricerca indipendente l’urgenza di porsi interrogativi, di riattivare negli spettatori una coscienza critica.


ANTONI MUNTADAS  vive e lavora a New York dal 1971. Ha insegnato in diverse istituzioni in Europa e negli Stati Uniti, tra cui l’Ecole Nationale des Beaux Arts a Parigi, l’Ecole des Beaux Arts a Bordeaux e a Grenoble, University of California a San Diego, il San Francisco Art Institute, Cooper Union, l’Università di San Paolo del Brasile e l’Università di Buenos Aires. Insegna attualmente presso il Dipartimento di Architettura del MIT, Cambridge, Massachusetts e allo IUAV a Venezia.

Il suo lavoro è stato esposto in numerosi musei, tra i quali ricordiamo: il MoMa di New York; Berkeley Art Museum; Musée Contemporain de Montreal, Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía a Madrid, Museo de Arte Moderno a Buenos Aires, Museu de Arte Moderna a Rio de Janeiro, e il Museu d’Art Contemporani de Barcelona. Il suo lavoro è stato incluso in varie mostre internazionali, tra cui: le edizioni VI e X di Documenta a Kassel (1977, 1997); Whitney Biennial of American Art (1991); la 51a Biennale di Venezia (2005), dove ha presentato On Translation: I Giardini, presso il Padiglione spagnolo, e altre Biennali a San Paolo del Brasile (1983), L’Avana (2000), Taipei (2002), Gwangju (2004), Istanbul (2011) e alla Triennale di Parigi (2012).

Tra le recenti esposizioni personali ricordiamo: Protokolle, Württembergischer Kunstverein, Stoccarda (2006); Proyectos Urbanos (2002/2005), Hacia Sevilla 2008 al Centro de las Artes de Sevilla (2006); Histoires du couteau, Le Creux de l’enfer, Centre d’art contemporain, Thiers (2006-2007); On Translation: Açik Radyo, Myths and Stereotypes al Museo d’arte moderna di Istanbul (2010); About Academia, The Carpenter Center for the Visual Arts, Harvard University, Cambridge, Massachusetts; Arizona State University Art Museum e American Academy in Rome (2011); Muntadas: Entre/Between al Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía, Madrid (2011–2012).

Il suo lavoro si trova, tra le altre, nelle seguenti collezioni pubbliche: The Museum of Modern Art, New York; The Solomon R. Guggenheim Museum, New York;  Long Beach Museum of Art, Long Beach, California; Rotch Library – M.I.T., Cambridge, Massachusetts; Centre George Pompidou, Paris; Centro de Arte Reina Sofia, Madrid; Fundació Museu d’Art Contemporani de Barcelona (MACBA); Fundació La Caixa, Barcelona; Instituto Valenciano de Arte Moderno, Valencia; Ludwig Museum, Budapest; Palais de Beaux Arts, Bruxelles; Fundaçao de Serralves, Porto; Museo de Arte Moderno, Buenos Aires; Museu de Arte Contemporanea, São Paulo; Museo de Arte Contemporaneo, Caracas; The Banff Centre, Banff, Canada; National Gallery, Ottawa; Israel Museum, Gerusalemme.

Muntadas ha inoltre ricevuto premi dalle seguenti istituzioni: Solomon R. Guggenheim Foundation, Rockefeller Foundation, National Endowment for the Arts, the New York State Council on the Arts, Arts Electronica di Linz; Laser d’Or a Locarno, il Premio Nacional d’Arts Plastiques concesso dal Governo catalano, il Premio Nacional de Artes Plásticas nel 2005 e il Premio Velázquez de las Artes Plásticas nel 2009, rilasciato dal Ministero della Cultura spagnolo.

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